IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3110/90 proposto da Lopes Felice, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Speranza, presso cui elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Milizie n. 34, contro A.N.A.S., in persona del Ministro dei lavori pubblici pro-tempore, Ministero dei lavori pubblici, in persona del Ministro pro-tempore e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall'avvocatura generale dello Stato, presso cui domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per l'annullamento del provvedimento di cui alla nota A.N.A.S. 13 giugno 1990, n. 2612, di reiezione della domanda di mantenimento in servizio oltre il sessantacinquesimo anno di eta', nonche' della circolare del dipartimento funzione pubblica 3 aprile 1990, n. 48509, con cui sono state impartite disposizioni interpretative della legge n. 37/1990; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Visti gli atti e documenti di causa; Nominato relatore, alla camera di consiglio del 17 ottobre 1990 il consigliere Paolo Buonvino; Udito l'avv. Luigi Speranza per il ricorrente. Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Con il presente ricorso si impugna il provvedimento con cui l'A.N.A.S. ha respinto la domanda di mantenimento in servizio oltre il sessantacinquesimo anno di eta' avanzata dal ricorrente dirigente superiore tecnico A.N.A.S. - ai sensi del d.-.l. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, nonche' della circolare 3 aprile 1990, n. 48509, del dipartimento funzionale pubblica, sulla quale e' stato fondato detto diniego. Assume il ricorrente l'illegittimita' di dette determinazioni per violazione ed errata applicazione del d.-l. n. 413/1989, convertito in legge n. 37/1990, dell'art. 1, comma 4-quinquies, del d.-l. 6 novembre 1989, n. 357, convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417, nonche' dell'art. 147 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, atteso che, contrariamente all'assunto dell'amministrazione il ricorrente avrebbe avuto pieno titolo a revocare l'esercitato riscatto studi universitari o, comunque, di rinunciare ai benefici connessi all'esercizio del diritto di riscatto e pertanto a beneficiare delle invocate disposizioni di favore di cui al d.-l. n. 413/1989, comportanti la possibilita' di prolungare sino a settanta anni la permanenza in servizio ai fini della motivazione del massimo della pensione. In subordine il ricorrente eccepisce l'illegittimita' costituzionale dello stesso art. 1, comma 4-quinquies, del d.-l. n. 413/1989, e norme ivi richiamate per contrastro con gli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono il diritto al mantenimento in servizio - previa revoca del riscatto - in favore di coloro che abbiano esercitato il diritto di riscatto anteriormente alla entrata in vigore dello stesso decreto-legge. Alla camera di consiglio del 17 ottobre 1990 la sezione, ritenuta la sussistenza dei requisiti di cui all'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ha, con separata ordinanza n. 1136, accolto l'istanza di sospensione dell'atto impugnato. D I R I T T O L'odierno ricorrente, dirigente superiore tecnico A.N.A.S. prossimo al pensionanmento, con istanza in data 30 marzo 1990, ha chiesto la proroga della permanenza in servizio ai sensi dell'art. 1, n. 4-quinquies, del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37, (che estende ai dirigenti civili dello Stato le disposizioni di cui all'art. 15 secondo e terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477 e l'art. 10, sesto comma, del d.-l. 6 novembre 1989, n. 357, convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417) previa revoca della domanda di riscatto della durata legale del periodo di studi universitari e con espressa rinuncia al rimborso dell'onere di riscatto gia' versato. Tale istanza e' stata rigettata dalla amministrazione di appartenenza del ricorrente sulla base delle precisazioni fornite dalla Presidenza del Consiglio, dip.to funzione pubblica, con circolare 3 aprile 1990, n. 48509, impugnata in una con l'anzidetta determinazione negativa. Il diniego e' stato fondato, in particolare, sul rilievo della inammissibilita' delle domande di revoca degli studi universitari, nei casi in cui l'amministrazione di appartenenza abbia gia' adottato - come nella specie - il relativo provvedimento formale. Avverso le statuizioni preclusive ora ricordate e' mossa, dall'odierno ricorrente, una prima censura volta a contestare la legittimita' del diniego in quanto basato sul presupposto della irrevocabilita' del riscatto (di cui, viceversa, si assume la piena disponibilita' e, quindi, revocabilita' da parte dell'interessato); in subordine l'intimante eccepisce l'illegittimita' dell'art. 1, comma 4-quinquies - e disposizioni ivi richiamate - del d.-l. n. 413/1989, convertito in legge n. 37/1990, per contrasto con gli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione. Chiamata a pronunciarsi sull'istanza di sopensione dell'impugnato diniego, la sezione: a) ha ritenuto infondato, per carenza di ogni furmus boni juris il primo motivo di gravame; b) ha ritenuto non manifestamente infondata e rilevante anche ai fini della presente fase cautelare inibitoria la dedotta questione di legittimita' costituzionale, al cui esito e' stato rimesso l'esame definitivo dell'istanza di sospensione medesima; c) ha sospeso l'impugnato provvedimento di rigetto dell'istanza del ricorrente in quanto produttivo, per quest'ultimo, di danno grave ed irreparabile. In particolare, per quanto attiene al primo motivo di ricorso, va rilevato che, se dei dubbi potevano insorgere in merito alla revocabilita' della domanda del riscatto, a fini pensionistici, in base alla disciplina generale di cui al d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 - dubbi risolti dalla sezione controllo Stato della Corte dei conti talora in senso positivo, come sottolineato dal ricorrente, talaltra in negativo, come ricordato nella succitata circolare del dipartimento della funzione pubblica, che richiama le piu' recenti decisioni in materia della stessa Corte dei conti degli anni 1986 e 1987 - ebbene, tali dubbi debbono ritenersi fugati dalle disposizioni interpretative di cui all'art. 10, sesto comma, del d.-l. 6 novembre 1989, n. 357, convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417, la cui applicazione e' stata espressamente estesa ai dirigenti civili dello Stato dall'art. 1, comma 4-quinquies,del d.-l. n. 413/1989. Recita, infatti, tale disposizione che "il servizio utile da prendere in considerazione, insieme al servizio effettivo, ai sensi dell'art. 40 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, ai fini della permanenza in servizio prevista dall'art. 15, secondo e terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477, deve intendersi comprensivo di tutti i servizi e periodi riscattati, computati e ricongiunti per il trattamento di quiescenza con provvedimento formale"; ed e' proprio il fatto che il legislatore abbia posto l'accento sul "provvedimento formale" di riconoscimento del riscatto che chiude la relativa procedura che induce il collegio a ritenere che essa procedura, rimessa, nel suo avvio, all'iniziativa esclusiva dell'interessata e, dunque, permeata, nel suo iter formativo, dalla piena disponibilita' da parte del medesimo istante, perda, nella sua fase costitutiva, tale carattere, cristallizzandosi, in definitiva, in un vero e proprio provvedimento amministrativo, sottratto, come tale, a vicende connesse alla volonta' del suo destinatario. Una volta consolidatasi, in altre parole, in forza del provvedimento formale anzidetto, la situazione di vantaggio prevista dal legislatore, conseguente all'esercizio del diritto di riscatto, deve ritenersi che tale situazione entri in via definitiva (salve, naturalmente, eventuali vicende patologiche dell'atto stesso) nella sfera soggettiva dell'interessato, per il quale la durata del rapporto di impiego utile ai fini pensionistici deve ritenersi ormai irrinunciabilmente integrata dal periodo di servizio riscattato. Si tratta, peraltro, di verificare ora se le disposizioni normative anzidette e, cioe', gli artt. 1, comma 4-quinquies del d.-l. n. 413/1989, convertito in legge n. 37/1990 e 10, sesto comma del d.-l. n. 357/1989, convertito in legge n. 417/1989 - che non possono ritenersi violate, per quanto detto, dagli atti in questa sede gravati - soddisfano i requisiti di legittimita' costituzionale di cui agli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione, invocati dall'intimante, laddove non prevedono il diritto al mantenimento in servizio, previa revoca del riscatto, a favore di coloro che abbiano esercitato il diritto di riscatto anteriormente all'entrata in vigore dello stesso d.-l. n. 413/1989. Ritiene, in proposito, la sezione che, mentre e' da ritenersi manifestamente infondata la questione concernente l'asserita lesione dei principi di cui all'art. 4 della Costituzione (e cioe' in qanto tale norma mira a tutelare il diritto al lavoro come diritto fondamentale dell'individuo e non certo ad assicurare piu' o meno lunghe permanenze in servizio, tanto piu' in qanto sia comunque assicurato all'interessato, come nella specie, il massimo della pensione), viceversa siano da condividersi i dubbi di costituzionalita' sollevati con riguardo agli artt. 3 e 97 della Costituzione. Premesso, infatti, che l'intimante ha certamente un interesse attuale e concreto al mantenimento in servizio anche oltre il sessantacinquesimo anno d'eta' - interesse, costituzionalmente rilevante, connaturato sia ad aspetti meramente economici, sia di piu' favorevole sviluppo di carriera, sia di piu' completa estrinsecazione della propria professionalita' attraverso la maggior durata del servizio effettivo non compensabili attraverso il semplice conseguimento del massimo della pensione - non puo' non rilevarsi, come dedotto dal ricorrente, la manifesta incongruenza di una disciplina normativa che, senza alcuna giustificazione logica, ovvero di migliore funzionalita' dei pubblici uffici, viene a consentire il mantenimento in servizio fino al compimento di quaranta anni di servizio - e settanta di eta' - solamente a favore di coloro che non abbiano esercitato alcun riscatto o che, avendolo esercitato, non abbiano ancora visto accogliere, per qualsiasi ragione, la propria istanza con determinazione formale, e non anche di coloro che lo esercitano in un momento in cui non era possibile prevedere che tale tempestivo esercizio avrebbe potuto comprimere un futuro loro diritto. In altri termini, non e' dato cogliere, nella presente vicenda normativa, il discrimine logico-razionale che ha consentito al legislatore di differenziare: a) da un lato la posizione di coloro che, meno attenti o meno tempestivi, non abbiano mai esercitato il riscatto o che, per meri, quanto frequenti, ritardi amministrativi, non abbiano ancora visto formalmente accolta la relativa istanza, ai quali soltanto potra' competere, per fattori del tutto casuali, il consistente beneficiario del prolungato trattenimento in servizio (comportante, tra l'altro, anche la mancata soggezione agli oneri di riscatto); b) dall'altro lato quella di coloro che, sol perche' a suo tempo piu' attenti a tutelare, giusta la disciplina normativa all'epoca vigente, i propri interessi, dovrebbero vedersi ora negare il detto beneficio - accordato da una disciplina sopravvenuta, all'epoca neppure ipotizzabile - per ragioni essenzialmente formali connesse al consolidarsi del provvedimento di ammissione al riscatto ed in conseguenza dell'irreversibile consolidarsi, in loro favore, della situazione giuridica connessa all'esercizio del diritto di riscatto medesimo. Ne' e' dato vedere, poi, quali ragioni di migliore funzionalita' amministrativa o di migliore andamento dei pubblici uffici possano giustificare il mantenimento in servizio solo dell'una e non dell'altra categoria di funzionari sopra menzionate; sembre, anzi contrastare proprio con i principi del buon andamento e dell'imparzialita' dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 della Costituzione il fatto che il discrimine tra detta categoria di funzionari - riconducibile solo all'esercizio o meno di un diritto della parte originariamente affatto disponibile ed, in talune ipotesi, alla circostanza del tutto occasionale dell'essere o meno intervenuto, sull'istanza di riscatto, un tempestivo provvedimento formale di accoglimento - venga, in effetti, a pregiudicare proprio quei dipendenti che hanno dimostrato maggiore attenzione e solerzia nel tutelare i propri diritti in base alla disciplina all'epoca vigente; e cio' senza contare i maggiori oneri per l'erario connessi all'applicazione della norma qui contrastata. Non appare, pertanto, manifestamente infondata, in relazione ai principi di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale concernente le norme in esame laddove esse, non consentendo, neppure transitoriamente, agli interessati di rinunciare ai benefici connessi all'esercizio del diritto di riscatto, precludono altresi', la fruibilita' del beneficio della proroga del servizio fino ai settanta anni di eta' in danno di tutti coloro - e soltanto di coloro - che, con provvedimento formale, si siano gia' visti riconoscere il diritto al riscatto. Quanto alla rilevanza delle anzidette questioni di costituzionalita' ai fini della definizione della presente fase inibitoria, puo' osservarsi che, se e' vero che il diritto della parte puo' ritenersi interinalmente tutelato attraverso l'intervento accoglimento dell'istanza cautelare, e' anche vero che tale pronuncia, come ha cautelare, e' anche vero che tale pronuncia, come ha rilevato la stessa Corte costituzionale con la recentissima sentenza 26 settembre-12 ottobre 1990, n. 444, non ha determinato, per la sua natura meramente tecnica ed interinale, l'esaurimento del potere cautelare del giudice amministrativo, con la conseguenza che la proposta questione deve ritenersi tutt'ora fornita del requisito della rilevanza.